martedì 26 settembre 2017

Blackouts e impatto sui data centers



Il caldo torrido di questa stagione dell’anno rappresenta una potenziale minaccia per il business, a causa dei frequenti cali di tensione e dei blackouts con conseguenti interruzioni dell’operatività dei sistemi IT che si possono tradurre in danni ai clienti e alla reputazione dell’azienda.

Secondo una recente indagine condotta da Eaton tra IT managers e di data centers di tutta Europa, più di un quarto (27%) dei data centers ha subito un blackout prolungato negli ultimi tre mesi, a conferma che la gestione dell’energia è una questione di importanza critica per tutto il mercato. Ecco i fattori chiave che vanno considerati per prevenire e gestire al meglio le interruzioni nell’erogazione dell’energia.

1. Dal momento che i processi business critical dipendono dall’IT, il data center deve garantire resilienza affinché non ci siano interruzioni del business
I processi di business più critici dipendano dall’IT (82%) e che la salute del data center impatti direttamente la qualità dei servizi IT (74%). Tuttavia, due terzi dei rispondenti si sono detti insicuri della gestione energetica in essere nel data center. Affinché non si verifichino incidenti e blackout, che mettano a rischio il business, è necessario che in primis le aziende riconoscano l’importanza strategica della gestione energetica e di una pianificazione puntuale in questo ambito.

2.  Definizione di un processo chiaro di disaster recovery
In una situazione di blackout, durante il quale le persone sono sotto pressione per ripristinare il prima possibile lo stato di servizio abituale, avere un piano chiaro di azioni e priorità è fondamentale per evitare l’ulteriore prolungamento dell’assenza di energia. Il ripristino di un data center deve infatti avvenire in maniera graduale e metodica per non causare ulteriori danni e malfunzionamenti, come ad esempio sovraccarichi di energia e dei circuiti. È importante comprendere correttamente le dipendenze tra le diverse parti del sistema energetico e il carico IT e disporre del livello adeguato di resilienza dell’hardware, del software e dei processi.

3.  Aggiornamento dell’infrastruttura
Un’efficace strategia di power management deve essere affiancata da un aggiornamento dell’infrastruttura, affinché questa sia realmente in grado di rispondere alle aspettative in termini di efficienza, affidabilità e flessibilità. Dall’indagine emerge tuttavia che quasi la metà del campione di managers IT e data centers presi in esame ritiene che l’infrastruttura IT della propria azienda vada migliorata, numero che si avvicina a due terzi quando si parla specificatamente di strutture che riguardano energia e raffreddamento. 

Anche la gestione dell’energia sta diventando progressivamente un’attività definita dal software. In questo contesto, il software stesso può ricoprire un ruolo chiave per colmare il divario tra IT e gestione energetica, presentando le opzioni con le modalità di dashboard familiari a un pubblico IT, semplificando così la comprensione e l’automazione dell’infrastruttura di gestione dell’energia. Inoltre, è fondamentale che tutti i design associati alla distribuzione dell’energia e gli strumenti software di resilienza associati siano compatibili con l’offerta dei maggiori vendor di virtualizzazione per garantire il proofing dell’infrastruttura.

Il caso di British Airways
Un esempio concreto della minaccia che i blackouts rappresentano per le aziende di qualsiasi dimensione è il guasto elettrico che a inizio giugno ha mandato in tilt il sistema informatico che gestisce gli scali di British Airways e che per una giornata ha costretto la compagnia a cancellare tutti i voli agli aeroporti di Gatwick e Heathrow. Questo non solo ha causato forti disagi a migliaia di passeggeri in attesa di partire da Londra, ma si è tradotto in risarcimenti stimati per oltre 170 milioni di euro a carico della compagnia.

Fonte:  SNews

mercoledì 20 settembre 2017

Dal mobbing verticale al quick mobbing



Il termine inglese mobbing è il present participle del verbo to mob che significa "attaccare, assalire, aggredire, accerchiare" riferito ad una folla o comunque ad una massa di persone, infatti deriva dal latino "mobile vulgus" cioè "plebe in tumulto".

Cos'è il mobbing
Questo termine è stato ormai da tempo adottato nel nostro Paese per definire l'attacco che il lavoratore subisce nell'ambiente di lavoro, da parte del datore di lavoro, o dei superiori gerarchici, oppure da parte dei suoi stessi colleghi, attuato attraverso una serie di comportamenti, che talvolta sono illeciti (ingiurie, diffamazione, percosse, lesioni, violenza privata, minacce, molestie sessuali etc.), ma molto più spesso sono, singolarmente considerati, leciti (rimproveri verbali, procedimenti disciplinari, trasferimenti, modifica delle mansioni, modifica degli orari di lavoro, diniego di ferie e permessi, etc.), che vengono posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato, in maniera persecutoria e con intento vessatorio, al solo scopo di isolare, emarginare, umiliare e finanche espellere dal contesto organizzativo il lavoratore, che subisce a causa di tali comportamenti posti in essere contro di lui, un danno alla sua integrità psicofisica ed/o alla sua dignità.

Mobbing verticale e mobbing orizzontale
L'autore del mobbing, il c.d. mobber, ossia colui che pone in essere i comportamenti aggressivi, vessatori e persecutori nei confronti del lavoratore (c.d. mobbizzato), non è quindi, necessariamente, il datore di lavoro o il superiore gerarchico, ma possono anche essere uno, o più, colleghi posti nella stessa posizione gerarchica della vittima; per distinguere le due ipotesi, ai meri fini classificatori, si parla rispettivamente di mobbing verticale o bossing e mobbing orizzontale. Esiste inoltre, anche se più raro, il c.d. mobbing ascendente, che è quello praticato generalmente da più lavoratori che si coalizzano contro il proprio datore di lavoro, o più spesso, contro il proprio superiore gerarchico, con condotte che arrecano danno alla persona e talvolta anche all'azienda.

Il quick mobbing e lo straining
Nel mobbing è indispensabile che vi siano più condotte vessatorie, continue, non sporadiche ma ripetute nel tempo, che perdurino per un periodo medio-lungo. La giurisprudenza di solito richiede una durata di almeno sei mesi, ed una ripetizione degli atti persecutori di almeno due volte al mese, salvo per il c.d. quick mobbing che consiste in attacchi particolarmente intensi e frequenti (anche quotidiani), e per il quale la durata necessaria viene ridotta a tre mesi. Il termine quick mobbing è stato coniato dallo Psicologo specialista in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, dott. Harald Ege, considerato il principale studioso del fenomeno mobbing, al quale si deve anche la paternità del termine straining, un particolare tipo di mobbing consistente in un aggressione al lavoratore attuata solitamente dal suo superiore gerarchico o dal suo datore di lavoro, anche con una sola azione ostile, i cui effetti negativi sul lavoratore perdurano costantemente nel tempo. Quindi lo straining si differenzia dal mobbing vero e proprio per il modo in cui viene perpetrata l'azione vessatoria, in quanto non è necessaria la continuità e la frequenza delle azioni persecutorie, ma è sufficiente anche una sola azione, purché sempre accompagnata dal preciso intento di arrecare un danno al lavoratore e purché l'azione predetta determini effettivamente un pregiudizio personale o professionale al dipendente. Il classico esempio è quello del demansionamento o del trasferimento non motivato da ragioni aziendali ed organizzative, ma posto in essere unicamente per provocare un peggioramento permanente alle condizioni lavorative e/o personali del dipendente.

Lo straining è stato riconosciuto come fonte di responsabilità da una recente sentenza della Suprema Corte, la n° 3291 del 19/02/2016. Nel caso deciso da Piazza Cavour, la ricorrente, nonostante avesse qualificato il fatto come mobbing, e pur avendo allegato l'esistenza di due sole condotte (ingiurie), poste in essere da parte del superiore gerarchico nell'arco di un anno - essendo riuscita a dimostrare di aver subito a causa di tali condotte un danno biologico del 10% per disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato - ha ottenuto in tutti e tre i gradi di giudizio il riconoscimento del suo diritto ad essere risarcita per il pregiudizio subito. In questo caso i giudici hanno qualificato la condotta del superiore gerarchico come straining , facendo propria la terminologia dell'esimio studioso della materia, e riconducendo questa fattispecie, al pari del mobbing, in una violazione dell'art. 2087 c.c., che prevede l'obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro.

La rilevanza penale del mobbing
Il mobbing non è di per sé un reato, nel senso che non esiste una norma di carattere penale che individui gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e la punisca con una sanzione penale pecuniaria o detentiva; ma questo non vuol dire che tale condotta non possa sfociare in una condanna penale per l'autore del mobbing.

La giurisprudenza penale ha spesso ricondotto i comportamenti dei c.d. mobber a fattispecie penali ben individuate. Se agevole è l'individuazione della condotta penalmente rilevante, nel caso di atti vessatori di per sé illeciti, come le ingiurie, le maldicenze (diffamazione), le molestie sessuali, la violenza privata,etc., punibili in quanto tali (tranne l'ingiuria attualmente depenalizzata) anche se consistenti in una sola condotta, più difficile è ottenere una condanna penale quando gli atti vessatori sono individualmente leciti ma, considerati nella loro sistematicità e nel loro ripetersi costante e prolungato, sono in grado di ledere sensibilmente l'integrità psico-fisica e morale della vittima, in maniera anche più grave di un singolo atto penalmente illecito. In questi casi la giurisprudenza penale ha più volte ricondotto la fattispecie del mobbing nell'alveo del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.).

La tutela civile per il lavoratore mobbizzato
Ma il lavoratore leso può ottenere tutela, anche innanzi al Giudice Civile, senza che per ciò sia indispensabile provare che sia stato commesso un reato, purché si riesca a provare la condotta lesiva del mobbizzante, il danno da questa provocato alla vittima ed il nesso di causalità con la predetta condotta, ossia che il danno lamentato dalla vittima sia stato determinato dalla condotta mobbizzante. Per quanto concerne l'onere probatorio che grava sul mobbizzato che vuole agire in giudizio davanti al Giudice Civile per ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti, occorre distinguere il tipo di responsabilità invocata. Infatti la responsabilità civile per mobbing può essere di natura contrattuale o extracontrattuale.

La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che il datore di lavoro, nell'ipotesi di mobbing, anche posto in essere da altri suoi dipendenti ai danni di un loro collega, risponda per responsabilità contrattuale, e ciò per aver violato dell'art. 2087 c.c. che impone all'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, e quindi egli è tenuto non solo a rispettare l'integrità psico-fisica del suo dipendente, ma anche ad adottare tutti gli accorgimenti e le misure atte ad evitare e/o a far cessare qualsiasi condotta lesiva posta in essere da altri suoi dipendenti.

Il risarcimento del danno
Da quanto precedentemente esposto emerge che affinché il lavoratore ottenga il risarcimento dei danni da lui subiti sul luogo di lavoro, deve essere accertata la condotta ingiustamente lesiva e pertanto il lavoratore dovrà provare le singole condotte vessatorie, la loro intensità lesiva, l'intento persecutorio nei suoi confronti, la non esiguità del danno subito, l'esistenza del nesso di causalità tra le condotte lesive e il danno subito, ed infine l'entità del danno subito. Pertanto non basta addurre condotte generiche che dimostrano mancanza di stima nei confronti del lavoratore, scarso impiego in mansioni qualificanti , richiami e rimproveri anche per motivi futili, se manca l'intento persecutorio, oppure se, pur essendoci l'intento persecutorio, l'intensità lesiva della condotta è lieve, e quindi il lavoratore non ha subito un danno obbiettivo e grave.

Se il lavoratore riesce a dimostrare che a causa delle reiterate condotte aggressive e persecutorie nei suoi confronti, ha subito un danno (per esempio è stato costretto a dimettersi, oppure ha subito un'ingiusta decurtazione dello stipendio, o ancora ha subito un danno all'integrità psicofisica per esempio una grave depressione) in questi casi può riuscire ad ottenere un risarcimento.

Fonte: Estratto dell’articolo dell’Avv. Gabriella Patteri sul sito dello  Studio Castaldi

martedì 12 settembre 2017

Nuove disposizioni FGAS



Il regolamento comunitario riguardante la gestione dei gas fluorurati ad effetto serra prevede l'obbligo di comunicare, entro il 31 marzo di ogni anno, le quantità di gas gestite nell'anno precedente da parte di determinate categorie di produttori, importatori, esportatori o utilizzatori di questi gas. Con un regolamento di esecuzione sono state modificate le informazioni da fornire esclusivamente per via telematica tramite il sito https://bdr.eionet.europa.eu.

Queste disposizioni saranno in vigore dal 15 agosto 2017

Queste modifiche intervengono sul Regolamento (UE) n.1191/2014, emanato in esecuzione dell’art.19 del Regolamento (UE) n.517/2014:
  • Per verificare il rispetto dell’obbligo d’invio della comunicazione, prima di svolgere le attività oggetto della comunicazione le imprese devono registrarsi sul sito web della comunicazione ( https://bdr.eionet.europa.eu);
  • Nella sezione 1 della comunicazione, riguardante i produttori di fgas, occorre ora indicare anche i quantitativi di idrofluorocarburi (HFC) prodotti per essere impiegati come materie prime nell’Unione o per usi interni all’Unione esonerati a norma del protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 2, importatori, a partire dal 2020 i quantitativi di HFC andranno comunicati separatamente per ogni paese d’origine, salvo quando diversamente indicato. Inoltre i dati richiesti sono completamente modificati, in quanto ora viene richiesta una suddivisione dei quantitativi: importati nell’Unione e riesportati dopo essere stati caricati in prodotti o apparecchiature, HFC usati, riciclati o rigenerati, HFC vergini importati per l’utilizzo come materia prima, HFC vergini importati per usi esonerati dal protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 3, esportatori, analogamente alla sezione 2 i quantitativi di HFC andranno comunicati separatamente per ogni paese di destinazione, salvo quando diversamente indicato. Inoltre vengono ora richiesti i quantitativi di HFC usati, riciclati o rigenerati esportati, HFC vergini esportati per l’utilizzo come materia prima, HFC vergini esportati per usi esonerati dal protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 4, riguardante produttori e importatori, è stata modificata la formula per il calcolo del quantitativo totale immesso fisicamente in commercio;
  • Nella sezione 12, riguardante gli importatori di apparecchiature per refrigerazione, condizionamento o pompe di calore caricate con HFC, è specificato che i quantitativi di gas caricati nelle apparecchiature importate riguarda gas immessi dalla dogana in libera pratica nell’Unione;
  • Infine viene eliminata la sezione 13, riguardante importatori di apparecchiature per refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore caricate con HFC, se gli HFC sono stati contabilizzati nel sistema di quote tramite specifiche autorizzazioni. Ciò in quanto con l’istituzione del registro elettronico tramite il Regolamento (UE) n.879/2016, queste informazioni sono già note.

Fonte: Punto Sicuro

mercoledì 6 settembre 2017

Corso di qualificazione per posatori e manutentori di chiusure Tagliafuoco porte REI e porte su vie di esodo



Il nuovo "Corso di qualificazione per posatori e manutentori di chiusure Tagliafuoco, porte REI e porte su vie di esodo" organizzato il 5 e 6 Ottobre 2017 da UCCT in collaborazione con la società ERGON Ambiente e Lavoro srl, è diventato obbligatorio in quanto è stato reso cogente dai riferimenti normativi UNI 11473, richiamata anche dal DM 10.03.98 e dalla L. 4/2013. Il corso è valido come requisito per essere ammessi all'esame di certificazione ACCREDIA.


L’Associazione UCCT (Unione Costruttori Chiusure Tecniche), in collaborazione con la società ERGON Ambiente e Lavoro srl, organizza presso la sede di Palermo IL CORSO DI QUALIFICAZIONE PER INSTALLATORI E MANUTENTORI DI CHIUSURE TAGLIAFUOCO E PORTE IN VIE DI ESODO ed ESAME DI CERTIFICAZIONE MANUTENTORI – ACCREDIA.

Il corso è rivolto principalmente ad:
·         installatori e manutentori che operano nel settore;
·         imprese di manutenzione antincendio;
·         imprese edili di costruzione e responsabili di cantiere;
·         committenti in genere;
·         uffici tecnici, studi di progettazione e professionisti;
·         amministratori di condominio;
·         responsabili sicurezza (RSPP, ASPP, RLS…);
·         costruttori di chiusure tagliafuoco e relativi accessori;
·         Corpo dei Vigili del Fuoco.

Prima dell’uscita della UNI 11473 - 3 (18 dicembre 2014) in Italia non esisteva una figura riconosciuta per gli installatori e manutentori di porte Tagliafuoco ed era forte era la richiesta degli operatori di qualificarsi, rilevando che sul mercato esistono situazioni realmente pericolose per la sicurezza delle persone. La porta Tagliafuoco, infatti, non è una normale chiusura, ma è un dispositivo fondamentale di protezione passiva (sicurezza). Se tale dispositivo non è installato correttamente e sottoposto ad un piano di manutenzione periodico adeguato, può perdere le sue caratteristiche e non svolgere più adeguatamente la sua funzione. Da qui la nascita in UCCT della Divisione CIMAS, installatori e manutentori di chiusure tecniche.

Installare e/o fare manutenzione ad una porta tagliafuoco vuol dire farsi carico di adempimenti ben precisi e assumere responsabilità anche gravose. Il titolare dell’attività presso la quale viene installata una chiusura resistente al fuoco deve essere conscio dei rischi che può causare una porta tagliafuoco non installata correttamente e/o per la quale non viene predisposto l’obbligatorio iter di manutenzione periodica. Sia l’installatore che il manutentore devono saper operare correttamente nel rispetto della normativa cogente, compresa la “gestione” della documentazione di accompagnamento delle chiusure tagliafuoco. A tal proposito è stata pubblicata la norma UNI 11473 - 1" “Porte e finestre apribili resistenti al fuoco e/o per il controllo della dispersione di fumo” che rappresenta un importante aggiornamento normativo per installatori e manutentori di chiusure tagliafuoco ed entra a far parte della “regola dell’arte”. In questo modo anche il concetto di “operatore qualificato”, già richiesto dal Decreto Ministeriale 10 marzo ‘98 allegato VI, assume finalmente significato. Installatori e manutentori di chiusure tagliafuoco dispongono così di una norma di riferimento per la loro attività e che fornisce regole precise e dovranno pertanto essere adeguatamente formati. 


Il Corso si terrà a PALERMO il 5 e 6 OTTOBRE 2017
presso la sede di ERGON, Via Duca della Verdura, 63

CERTIFICAZIONE ACCREDIA
Al termine del corso di qualificazione, i manutentori che lo desiderano possono prendere parte all’esame di Certificazione Manutentore Tagliafuoco che si terrà sempre a Palermo nel pomeriggio del 6 ottobre 2017. Sarà necessario superare una prova scritta seguita da una prova pratica e colloquio. Si terrà l’esame solo al raggiungimento di minimo 10 iscritti per gli esami.

PROGRAMMA
Primo giorno - Giovedì 5 Ottobre
: accreditamento ore 9.15
Corso dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 17.30.

Secondo Giorno – Venerdì 6 Ottobre: dalle 9.30 alle 12.30
Esame*: dalle 14.00 alle 18.00
* Si terrà l’esame solo al raggiungimento di minimo 10 iscritti per gli esami.

CONFERMA CORSO
La data del corso viene confermata al raggiungimento del numero minimo di 10 partecipanti iscritti al corso.
Per ulteriori informazioni e iscrizioni contattare la segreteria dell’UCT Media ai seguenti recapiti
Telefono: 0461.392100
Fax: 0461.392093
Email:
segreteria@ucct.it; info@ucct.it


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