Le tutele previste dalle
norme di salute e sicurezza sul lavoro riguardano anche il mondo dello sport,
sia con riferimento ai giocatori e agli sportivi professionisti sia con
riguardo a coloro che frequentano un centro sportivo a livello amatoriale come
sportivi o frequentatori o a coloro che praticano sport in qualunque altra
situazione (ludica, ricreativa, scolastica, ginnica non agonistica etc.).
Implicando lo sport dei
rischi particolari già insiti nel gioco stesso, la giurisprudenza ha elaborato
princìpi particolari per attribuire le responsabilità in caso di infortunio
occorso ai giocatori professionisti, i quali devono ricevere comunque tutte le
tutele previste dalla legge per la salvaguardia della loro salute. Analogamente colui che gestisce un centro
sportivo, una piscina, un campo da calcio e così via, è tenuto a tutelare non
solo i lavoratori ma anche i terzi utenti e frequentatori.
Gli infortuni nel mondo
dello sport e delle attività ludiche, infatti, possono riguardare non solo i lavoratori
ma anche i terzi, cioè persone che praticano uno sport o un’attività ricreativa
(e che sono comunque destinatari di tutele per legge) o persone che non
praticano ma che sono comunque presenti nel medesimo contesto in cui si svolge
il gioco o lo sport e quindi esposti al rischio di essere danneggiati da coloro
che la praticano. A volte i terzi danneggiati sono ragazzi minorenni che
praticano un’attività ludica in un centro organizzato dal cui gestore
dovrebbero essere tutelati con tutte le misure organizzative, tecniche e
procedurali necessarie.
La Corte di Cassazione, ad
esempio nel caso dell’infortunio di un atleta professionista durante lo
svolgimento dell’attività sportiva afferma (in una sua sentenza del 2000) che “determinati
e specifici lavori comportano per loro natura dei rischi per la salute del
lavoratore, e tra questi va annoverato lo svolgimento di una attività sportiva
agonistica, tenuto conto della pericolosità insita nel suo svolgimento e dei
rischi ineliminabili, in tutto o in parte, da parte del datore di lavoro
rispetto alla possibilità dell’atleta di subire un infortunio nel corso della
prestazione lavorativa.
Rispetto a detti lavori non
risulta, pertanto, configurabile una responsabilità del datore di lavoro, se
non nel caso che detto imprenditore con comportamenti specifici, da provarsi di
volta in volta da colui che assume di essere danneggiato, determini un aggravamento
di quel tasso di rischio e di pericolosità ricollegato alla natura
dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere
In altri casi la
questione è più complessa e le variabili da analizzare sono maggiori. Per poter
gestire tale complessità, la Cassazione ha pertanto elaborato dei criteri che
prevedono che la sussistenza o meno di alcune condizioni , legate al contesto,
al tipo di sport e alle modalità del fatto, funga da vero e proprio discrimine
e quindi da spartiacque tra la
responsabilità e la non responsabilità.
Fonte: Punto
Sicuro
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