martedì 21 novembre 2017

Palermo condannata la Corte dei conti per violazione della privacy



Pubblicare online i dati sanitari di un cittadino che ha avviato una causa civile non è solo una pratica disdicevole da condannare moralmente, ma è qualcosa che viola la privacy esponendo i dati sensibili a chiunque, con danni ben quantificabili. Anche se la diffusione di questi dati può essere indirizzata a un pubblico relativamente ristretto quale quello degli addetti ai lavori come gli avvocati. E’ questo, in sintesi, il senso di una sentenza emessa dalla prima sezione civile del tribunale di Palermo, giudice Fabrizio Lo Forte. Ma a pubblicare questi dati non è stato uno sprovveduto navigatore occasionale dei social network, bensì una fonte autorevole come la Corte dei conti, tramite il suo sito che dà conto delle sentenze emesse.

Il provvedimento riguarda 91 ricorrenti, assistiti dagli avvocati Nino Bullaro e Alessandro Savoca. Le parti lese si erano rivolte ai legali sostenendo l’illiceità del trattamento dei dati personali sensibili. In pratica, navigando su Internet, nel sito www.cortedeiconti.it, era possibile leggere diverse sentenze su procedimenti relativi a trattamenti pensionistici. “Pronunce – è scritto nella sentenza – la cui motivazione conteneva riferimenti, anche analitici, alle rispettive condizioni di salute e a patologie dalle quali gli stessi erano affetti”.

Tutti elementi ricavabili dal contenuto degli atti processuali depositati. I ricorrenti hanno sostenuto che così veniva violata la propria vita privata, oltre alla reputazione, la dignità. Un esempio: il disagio provocato da un’anomalia anatomica e accentuato se la notizia è accessibile a tutti. La Corte dei conti, difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, non ha contestato la pubblicazione sul portale web della motivazione completa delle sentenze indicate, tuttavia ha proposto al giudice di respingere le domande dei ricorrenti. Tesi accolta in un primo tempo, poiché – sosteneva la difesa della Corte dei conti - la diffusione dei dati personali contenuti nelle sentenze in questione non aveva incontrato l'opposizione esplicita dei diretti interessati.

La svolta in seguito a una pronuncia della Cassazione, la quale ha sancito che la pubblicazione di quei dati è da ritenersi illecita, “in quanto afferente dati personali idonei a rivelare lo stato di salute della persona, così come stabilito dalla legge 196 del 2003. E’ la stessa legge che stabilisce il risarcimento. La Cassazione, pertanto, ha rinviato tutto al giudizio originario. Così si è arrivati alla sentenza di poche settimane fa. La Corte dei conti è stata condannata a risarcire duemila euro a ogni ricorrente e a pagare le spese processuali, comprese quelle del ricorso in Cassazione.

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