Molti documenti in questi ultimi anni, in Italia e in Europa, hanno sottolineato come uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, tendano ad essere colpiti dalle patologie professionali in maniera diversa. E se l’uomo e la donna hanno peculiari caratteristiche che possono determinare effetti biologicamente diversi anche a parità di esposizione, di queste differenze – a partire dalla valutazione dei rischi - non si può non tener conto nelle strategie e nelle misure di prevenzione aziendali.
Per favorire l’adozione nei luoghi di lavoro di meccanismi, processi e azioni per contrastare le disuguaglianze di genere nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro, diamo un occhiata al documento Inail “ Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere. Rischi lavorativi. Un approccio multidisciplinare. Volume 4” che segue la pubblicazione di altri tre volumi Inail sul tema delle differenze correlate all'appartenenza al genere maschile o femminile.
Nel documento vengono presentati anche esempi specifici relativi alle differenze di sesso nella risposta alle
infezioni. Ad esempio le recenti acquisizioni in tema di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita
(AIDS) mostrano con chiarezza come una differenza di genere possa associarsi a
peculiarità di decorso clinico. Infatti le donne “hanno patterns clinici e
viro-immunologici più favorevoli nella fase precoce dell'infezione, sebbene
mostrino in un secondo tempo, con più alta probabilità, una veloce progressione
verso l’AIDS conclamato rispetto agli uomini, a parità di carica virale”. E
altre differenze significative di genere si possono notare per le infezioni da HBV (“epatite B”) e HCV (“epatite C”).
Vi sono poi anche fattori di natura
fisica nell’attività lavorativa che possono essere pericolosi per
entrambi i sessi (“radiazioni ionizzanti per le cellule germinali”) e altri
soprattutto per i lavoratori maschi (“agenti fisici quali le alte temperature”)
o soprattutto per le lavoratrici o per il feto. In relazione poi ai rischi da fattori inerenti l’organizzazione
del lavoro, il documento segnala che un lavoro faticoso e stressante
“può alterare il ciclo mestruale provocando, amenorrea, dismenorrea, cicli
anovulatori e riduzione della fertilità. Il lavoro a turni, caratteristico del
settore sanitario e di alcuni altri servizi (ad es. assistenti di volo), può
interferire con il sistema endocrino-riproduttivo delle donne, causando
alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi, oltre che altre patologie quali
disturbi dell’umore e malattie cardiovascolari.
Ed è stata evidenziata anche una “correlazione tra lavoro notturno e
aumentato rischio di tumore al seno femminile. Si sottolinea che il rischio
attribuibile al lavoro notturno
aumenta significativamente “quando effettuato per periodi duraturi di diversi
anni (soprattutto periodi superiori a 20 anni), con oltre due notti consecutive
durante il turno. Il lavoro a turni notturni sembra essere associato anche a un
incremento del rischio per cancro prostatico, del colon e dell’endometrio anche
se gli studi finora condotti per valutare queste associazioni sono
relativamente poche.
Per quel che riguarda il rischio
ergonomico, ricordando come uomini e donne abbiano mediamente una
diversa struttura fisica. Quando una postazione lavorativa non è in grado di
adattarsi alla estrema variabilità della forza lavoro in termini di struttura
fisica, “viene a incrementarsi il rischio di patologie muscolo-scheletriche e
in questo senso la componente femminile è in genere maggiormente penalizzata
dovendosi adattare a postazioni o strumenti di lavoro, spesso progettati per il
‘lavoratore maschio medio’.
Se le patologie muscolo scheletriche lavoro-correlate sono “condizioni
multifattoriali dove la componente causale occupazionale è attribuibile a
diversi fattori di volta in volta implicati da soli o in associazione”
(vibrazioni trasmesse da strumenti e macchinari, microclima inadeguato,
movimentazione manuale dei carichi, movimenti ripetitivi, posture incongrue,
...), molti fattori concausali extraprofessionali “sono pressoché di
prerogativa femminile, in alcuni casi perché legati alla fisiologia della sfera
riproduttiva femminile (ad es. la multiparità e la menopausa) e in altri per il
ruolo sociale che la donna occupa nelle attività di assistenza e cura familiare
(Biancheri R., 2011)”. E una quota significativa di stress biomeccanico alle
strutture muscolo-scheletriche deriva proprio “dalle attività di pulizia
domestiche o di accudimento di bambini o anziani malati e con difficoltà di
movimento e di deambulazione”.
Inoltre uno studio sui tassi di Sindrome
del Tunnel Carpale (STC) “ha mostrato una netta prevalenza nei
cosiddetti ‘colletti blu’ rispetto ai ‘colletti bianchi’ e ha evidenziato anche
un alto tasso tra le casalinghe, suggerendo che i lavori domestici siano un
importante fattore di rischio per STC (Mattioli S, 2009)”. E altri studi hanno
evidenziato una maggiore prevalenza nel genere femminile “di patologie a carico
della colonna vertebrale e delle articolazioni (in particolare la sindrome del
tunnel carpale ed epicondilite laterale) degli arti superiori, di patologie
delle vene degli arti inferiori al pari dell’attività lavorativa svolta (Habib
R.R. e Messing K. 2012, Punnett L. 2000, Bahk et al 2011, Becker J. 2002, Fan
Z.J. 2009)”.
Sempre in relazione ai rischi ergonomici e per favorire nelle aziende una valutazione
del rischio in ottica di genere, concludiamo segnalando che durante lo
stato di gravidanza nelle lavoratrici “si ha una maggior prevalenza di
tendiniti e disturbi muscoloscheletrici per ritenzione idrica e aumento
ponderale con conseguente ridistribuzione e alterazione della postura e per il
particolare assetto ormonale”.
Fonte: INAIL
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